L’uomo-macchina con l’anima dietro occhi di ghiaccio: Megahertz aka Daniele Dupuis


Megahertz è un grande, in tutti i sensi: alto tipo due metri e notevole sul palco. Elegante, equilibrato ma sorprendente. Da non perdere negli arpeggi nel vuoto, anzi, al Theremin. Artista vero perchè artigiano. Lavora lavora e non si scompone. Anche se si perde sul filo d’Arianna (eh bè c’è il mio zampino…) lui esprime musica. Elettronica: ma quella vera, seria, sperimentale, ricerca continua.

Insomma è un tipo da conoscere meglio: ecco due interviste. Parole sincere, senza fronzoli o divismi: perfette con metodo.

INTERVISTA 1 (di Elena Oselladore Pubblicato domenica 3 maggio 2009 )

Daniele Dupuis è noto nel mondo musicale come
Megahertz, polistrumentista, autore di musica elettronica
prevalentemente analogica. Megahertz è una figura che non passa certo
inosservata nel panorama della musica italiana. NonSoloCinema l’ha
incontrato nel suo studio, l’ antro magico dove elabora le sue
creazioni.

NSC: Come ti descriveresti musicalmente?

R: Potrei dire…continuo ricercatore di territori a me
nascosti. Daniele Dupuis canta e suona il basso nei Versus, mentre
Megahertz può esplorare e contaminare altri territori, ricercare suoni
di sintetizzatori. Potrei definire Megahertz un operaio della musica.
Megahertz non vuole essere protagonista, la musica deve essere l’unica
protagonista. Per fare musica ci vuole molta disciplina. Io studio,
ricerco, elaboro. Il concerto è il momento in cui porto fuori quello
che faccio in studio, come se andassi a trovare degli amici. Quello che
esce sono io.

NSC: Quindi per te il live è, in un certo senso, il momento della verità…

R: Il live per me significa portare il mio laboratorio
dal vivo, senza preoccuparmi della quantità di pubblico. Cerco, anche
se c’è tanta gente che mi ascolta, di vivere il concerto con
leggerezza. Io uso strumenti analogici, quindi ogni concerto è diverso.
I suoni non escono mai esattamente uguali. E dal vivo c’è,
naturalmente, la possibilità di sbagliare. Ma io credo che si debba
onorare l’errore. L’errore può sembrare una cosa voluta. Bisogna
saperlo fare l’errore. Se si riesce a mascherare l’errore, lo sbaglio
può trasformarsi, inaspettatamente, in una cosa bella musicalmente. Il
momento del concerto mi piace. Dovrebbe essere l’unica vera fonte di
guadagno dei musicisti. I dischi dovrebbero essere gratis, e la scelta
di chi può vivere di musica, dovrebbe avvenire solo attraverso i
concerti. Chi è in grado di fare dei buoni live, può guadagnare e può
essere considerato un musicista.

NSC: Hai varie collaborazioni
all’attivo, con Morgan, con Max Gazzè. Come riesci a combinare il tuo
percorso artistico con quello di un altro musicista?

R: Cerco sempre un punto di unione. Io faccio musica
elettronica e mi sono reso conto che il mio approccio riesce ad
adattarla perfettamente con le canzoni in italiano. Con Morgan
ho iniziato a collaborare nel 2003 con il suo primo album da solista.
Anche lui ama la musica elettronica e c’è sempre stato uno scambio equo
di idee. Con lui ho imparato molte cose sulla musica elettronica dal
vivo. Con Max Gazzè
abbiamo riarrangiato i suoi pezzi con strumenti elettronici analogici.
Ora sto collaborando con Claudio Coccoluto per un progetto di
contaminazione tra la musica da dj e la musica elettronica suonata
live. Lavoro anche su remix, arrangiamenti e produzione di gruppi. Mi
piace molto l’idea di sentire un brano e dargli un vestito adatto. Mi
sento portato per questo. Tutto quello che faccio deriva da un
interesse interiore. Ragiono a lungo termine. Non mi interessa prendere
un lavoro per il guadagno o per la fama del momento. Preferisco
costruire un percorso a lungo termine. Il fulcro è il mio studio. É la
base dove concretizzare le mie idee. Mi piacerebbe farlo diventare
l’unico punto del Veneto dove si possono trovare certe attrezzature e
certi strumenti. In modo che chi sceglie di venire a produrre qui, sa
che può trovare qualcosa che dalle altri parti non trova.

NSC: Hai partecipato anche alla colonna sonora del film Il caso dell’infedele Kiara di Roberto Faenza. Com’è stata questa avventura cinematografica?

R: Mi sono stati chiesti dei piccoli interventi elettronici. Ma poi il brano Don’t leave me cold, con la collaborazione di Laura Chiatti e Claudio Santamaria
è stato scelto per i titoli di coda. Il brano è una ballad elettronica
in inglese, ed è strano che un brano in inglese sia stato scelto per un
film italiano. É stata la mia prima esperienza cinematografica, ma non
mi sono trovato in difficoltà. Anzi. A me è sempre piaciuto sonorizzare
le immagini. Prendere spunti dalla storia, dalla location e creare
della musica. Mi piace l’idea di poter dare un’atmosfera a quello che
si vede.

NSC: Usi molti strumenti analogici nella tua musica. E sei riuscito a risvegliare l’interesse nei confronti del theremin…

R: Si, ho iniziato con il theremin nel 2003. Ho sentito
subito che potevo interagire con quello strumento, che sarei riuscito a
ricavarci qualcosa. Credo sia questione di indole, di approccio. Anche
perchè con strumenti come il theremin e i sintetizzatori analogici
tutto sta nel tuo approccio. Non c’è una tecnica che puoi imparare per
poterli suonare. Devi capirli e dedicarti a loro. Mi piace scegliere
strumenti che non ha nessuno. Sono generatori di suoni. Gli strumenti
analogici hanno un’anima. Se li tratti bene e hai l’indole giusta, ti
danno molto. Hanno un carattere preciso rispetto ai virtual instrument.
Il suono che si riesce ad ottenere dagli strumenti analogici deriva
sostanzialmente dal rapporto uomo/macchina. É il modo in cui si riesce
a gestire questo rapporto che dà il risultato insieme allo studio e
all’impegno con cui ti ci dedichi.

NSC: Hai molte idee, il tuo universo musicale è in continua espansione…Qualche progetto per il futuro?

R: C’è un disco in uscita a settembre, che mi ha preso
molto tempo e che indaga il rapporto uomo/macchina di cui parlavo
prima. Il disco dovrebbe essere anticipato dall’uscita di un singolo in
estate. Mi piacerebbe suonare nei club di Londra. Credo di avere il
sound adatto. Là ragionano in maniera diversa. Se sei bravo e funzioni,
sei considerato e hai la possibilità di suonare. In Italia non sempre è
così. Per questo mi piacerebbe girare per l’Europa e portare la mia
musica nei club. La mia musica potrebbe essere considerata
pop-dancefloor: la forma canzone ma con uno stile da club. Uscirà anche
il disco dei Versus, di cui faccio parted a anni come bassista e
cantante. Sarà un disco con sonorità inglesi. Dovrebbe uscire anche
questo a settembre.

NSC: Hai due dischi in uscita in
un periodo in cui il mercato discografico sembra essere in crisi, i
tantissimi musicisti emergenti generalmente si lamentano di non
riuscire ad avere la possibilità di farsi conoscere…

R: Credo che la selezione sia in parte giusta. Cè la
concezione che la musica elettronica sia alla portata di tutti, ma non
è così. Non basta avere un computer per saper fare musica elettronica
che abbia un valore. Sicuramente anche i discografici fanno degli
errori. Spesso non seguono progetti validi, dove c’è chi lavora davvero
per passione e con capacità, per seguire chi appare in tv. Ormai sembra
che se non sei in tv, non esisti. Forse cose musicalmente più
interessanti si trovano nei locali e non nei casting in tv. Per il
resto credo sia giusto che ci sia tanta selezione. Per poter pubblicare
un disco, bisognerebbe essere sicuri di essere almeno a un livello di
partenza. Purtroppo molti credono di poter fare musica, il mercato è
confuso e passa solo ciò che è in tv.

NSC: I talent show dunque contribuiscono alla confusione…ma, a tuo parere, servono a qualcosa?

R: Credo siano rivolti a un pubblico over 50, alle
famiglie, a tutte quelle persone che quando guardano questi programmi
pensano che quella sia la musica. Di base c’è la presunzione della tv
di dare una svolta che invece non arriva mai. La musica sicuramente è
un’altra cosa. Si potrebbero fare delle trasmissioni sulla musica.
Forse basteerbbe andare in un conservatorio… Comuque non seguo i talent
show, mi tengo solo informato di cosa succeed, di come funzionano.
Decide il pubblico in quelle trasmissioni. Ma come fa a decidere chi
magari non è mai uscito a comprare un disco? Certi programmi danno
l’illusione che tutti possano farcela. Ma non è vero. Non può essere
così. La musica non è per tutti, come non lo è la pittura. Non tutti
sono in grado di dipingere. Non tutti sono in grado di fare musica.

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INTERVISTA 2

Autore: Francesco Sciarrone (Vamp)
Pubblicato il: 17-02-2005

ROCKLAB – Daniele Dupuis in arte
Megahertz, … o Megahertz che si incarna in Daniel Dupuis? Ho notato che
sul cd c’è una netta divisione tra le due persone, Daniel sembra la
mente (e appare come paroliere e autore delle melodie) Megahertz come
il mezzo (il musicista). Qual è la netta divisone tra le 2 personalità?
Cosa ha l’una che non ha l’altra?


MEGAHERTZ – Diciamo che megahertz è la maschera che si presenta sul
palco,suona balla e fa ballare,ha un anima proprio club. Daniele rimane
ad osservare,e sfrutta megahertz. Daniele ha una personalità piu’
introversa, invece megahertz estroversa

R-
A parte qualche eccezione nelle chitarre, la maggior parte dei pezzi
sono interamente suonati da Megahertz, dalla programmazione delle
tastiere al basso alle chitarre. Gestisci interamente da solo il
processo compositivo arrivando in studio con le idee già chiare o forse
sotto ogni brano ci sono una serie di precedenti improvvisazioni in
cerca della melodia giusta?


M- Si nel disco ho suonato tutti gli strumenti e di solito gestisco da
solo sia la scrittura sia l’arrangiamento dei brani. Comunque mi piace
molto improvvisare sull’idea fino a vedere dove si arriva e mi piace
l’unicità della registrazione quindi spesso preferisco tenere una
traccia che mi emoziona anche se magari è imperfetta invece di andarla
a rifare. Secondo me le prime idee sono le più fresche, poi è solo una
ripetizione.

R- Cosa ci dici a proposito della scritta “no midi used” che si legge all’interno del cd?

M- La scritta no midi used è l’alza bandiera di questo disco perchè
spiega in che modo è stato registrato, ossia con un’attitudine anni ‘
70. Perché tutte le tracce sono state registrate in audio, il più delle
volte alla prima registrazione. Anche le sequenze di synth sono state
suonate a mano con delay. In pratica in questo disco non c’è una
traccia midi. E non è molto comune nei dichi di musica elettronica.


R-
Estetica è il singolo di promozione dell’album, sono curioso di sapere
com’è nato questo pezzo che mischia alla parte cantata una parte
“recitata” dai toni quasi ipnotici. Questi loop di “voglio dire”, “io
sono proprio nata per fare quello” affascinano e allo stesso tempo
hanno un effetto come sedativo con il loro un po’ egocentrico. E il
pezzo che più mi ha colpito di tutto l’album.


M- Questo è secondo me il brano che rappresenta di più il disco. E’
nato abbinando alla musica che avevo scritto, il campione di ragazza
preso dalla televisione e lavorato con un cut-up. Mi piaceva molto il
timbro di voce che assieme alla musica creava un’atmosfera ipnotica e
romantica. Questo brano unisce il mondo pop o del cantautorato al mondo
cub dei campionamenti e delle batterie elettroniche formando una
canzone elettro-pop.

R-
3 rivistazioni tutte in modo particolare: Space Oddity del duca bianco
è in chiave pop (un po’ come la pinkfloydiana If su "Le canzoni
dall’appartamento"), il mini calcolatore dei Kraftwerk è, in un certo
senso, una cover di una cover (se non sbaglio è tratta da una rara
performance in italiano dei Kraftwerk), e infine l’ultimo pezzo che si
basa su un campionamento di "Can i go home now" di H.Hicks. Com’è
caduta la scelta su questi 3 brani? Com’è stato misurarsi con la
versione italiana del pezzo dei Kraftwerk? C’è qualche altro brani che
ti sarebbe piaciuto coverizzare ma hai lasciato fuori?


M- Questi tre brani, a cui aggiungerei pinocchio che è la 4 cover del
disco, sono nati in modo spontaneo. David Bowie e i Kraftwerk sono
sempre stati punti di riferimento e ho sempre suonato e cantato le loro
canzoni. Il brano di Hinda Hicks mi sembreva adatto per la conclusione
del disco, con quell’atmosfera dub un pò malinconica e dolce. Per la
cover di Bowie mi piaceva l’idea di farla cantare a Morgan visto che
Bowie è un musicista che piace a entrambi quindi ho registrato la
musica e poi ho fatto cantare Morgan. Per il brano dei Kraftwerk ho
deciso di cantarla come avavano fatto loro ne 1982 a disco ring ed è
stato molto divertente e giocoso realizzare la registrazione di mini
calcolatore.

R-
Ti confesso che amo il suono di quest’album. Ha quel tocco degli anni
80 che mascheravano con suoni freddi e artificiali testi interessanti,
quasi filosofici. Penso ad Alice, ai brani di Battiato (Mondi
Lontanissimi, Orizzonti perduti…), agli stessi Kraftwerk. Cosa pensi ti
ha influenzato di più di quegli anni?


M- Io sono cresciuto fin da bambino ascoltando con i miei genitori
Battiato, Pink Floyd, De Andrè, Genesis ecc… poi nel tempo mi sono
avvicinato alla corrente elettronica tedesca e a gruppi inglesi come
King Crimson, Depeche Mode. Quindi sono stato influenzato da vari tipi
di musica, non solo strettamente anni ’80, mi piace molto il
progressive degli anni ’70.

R-
In quest’ultimo periodo sembra che l’elettronica sia ritornata in auge,
riaffiorata da una disco anni 90 vuota di contenuti, passata attraverso
sperimentazioni elettroclash e jungle sembra ora aver trovato
nuovamente la sua dimensione in un elegante di pop raffinato (Air, Zoot
Woman …). Che impressione hai tu della musica elettronica in questo
momento? E come ti rapporti con gli altri artisti stranieri che fanno
il tuo stesso genere? E cosa ne pensi delle sfaccettature estreme della
musica elettronica? Parlo delle sperimentazioni alla Aphex Twin o dei
suoni “emotivi” dei Boards of Canada


M- Ultimamente non sto ascoltando molta musica elettronica. C’è una
saturazione sia del termine sia del genere e spesso si spacciano per
elettronica delle cose che sono fini a sè stesse e prive di contenuti.
Nella scena di oggi il gruppo che preferisco è il duo francese Air, con
i quali un giorno spero di poter collaborare, mi piace il modo che
hanno di trasmettere con l’elettronica.

R-
Erro se dico che, in fatto di synth pop, sei l’unico in italia? Mi
vengono in mente pochi altri artisti del nostro paese che si basano sui
synth e moog… anzi a pensarci bene mi vengono in mente solo i Soerba.


M- Si con i soerba ci sono sicuramente delle affinità per quanto
riguarda gusti musicali e qualche sonorità. A portare in giro qusto
tipo di musica penso di essere da solo. Si potrebbe definire
glam-tronic.

R-
Il tuo booklet è un tripudio di synth, moog e theremin (e, se il mio
spirito di chitarrista non mi inganna un Chromatic tuner della boss!).
Sono curiosissimo di sapere la tua strumentazione (usa pure i nomi
tecnici dello strumento per la gioia dei musicisti di Rocklab).


M- Tra gli strumenti che uso, perchè sarebbe un pò lungo elencarteli
tutti, mi piacciono molto l’ms20 della korg, che è un synth analogico
degli anni ‘ 70, il piano rhodes, il theremin, polysix della korg, moog
satellite, siel cruise che è un synth degli anni ’70 di questa casa
italiana che poi è fallita, ha un suono molto elettrico e squillante,
tr909 roland, jomo xbase eccetera.

R-
Se, come sospetto, sei un appassionato di tastiere vintage non sai
resistere all’acquisto di un nuovo “pezzo”. Cosa deve avere una
tastiera per farsi catturare da te? Sei più appassionato di Vintage e
quindi punti sui pezzi più rari o preferisci comunque qualche cosa che
sia più funzionale alla tua attività in studio e live?


M- Di solito quando compro uno strumento scatta come un colpo di
fulmine e la mia attenzione è per lo più centrata su strumenti vintage
che hanno sempre caratterizzato il mio suono e che sono a mio parere
più divertenti e con infinite possibilità di combinazioni di sonorità.


R-
Speravo venissi a Roma in qualche club per pubblicizzare il disco, ma
niente. Come mai non c’è stato neanche un breve tour? E com’è un tuo
live act? Dai spazio all’improvvisazione o ti attieni alla struttura
dei brani? Ho visto l’esibizione di Estetica a Brand:New e mi ha
affascinato vedere come una sola persona riesca a gestire un sound così
avvolgente. Mi ha riportato alla mente i primi concerti degli Air
quando erano sommersi di campionatori e tastiere.


M- Saro’ a Roma il 3 marzo allo Zoo Bar e porterò i brani del disco dal
vivo, con una strumentazione vintage che lascia spazio
all’improvvisazione. Spero nei prossimi mesi di iniziare un tour anche
se in Italia per il genere che faccio io c’è meno circuito del classico
rock. Comuque mi sto cominciando a muovere per andare a suonare in
paesi come Francia, Germania, Belgio, Olanda… i paesi nordici
diciamo.

R-
Parlaci di com’è nato da parte tua l’interessamento per il Theremin. Ma
soprattutto, in una recente apparizione a Brand:New hai citato 2
persone (se non sbaglio erano 2 donne) che hanno portato l’arte di far
musica col theremin ai massimi livelli. Confesso di essere tanto
ignorante in materia quanto curioso, per questo ti chiedo se puoi
ricordarci i loro nomi e consigliarci qualche loro disco


M- L’interessamento per il theremin è nato tre anni fa. A farmi
innamorare di questo strumento era il fatto che è stato il primo
strumento elettronico di tutti i tempi e si suona sfruttando l’etere.
In pratica si entra in un campo magnetico e con due antenne si
controlla usando le mani, il volume e la frequenza.
Le due donne di cui parlavo sono Lidia Cavina, che è la nipote di Leon
Theremin, inventore del theremin, e Clara Rockmore che penso sia stata
la più virtuosa suonatrice di theremin della storia.

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Piacere di averti conosciuto, Megahertz.
Anzi Daniele.
Anzi non so.
Appuntamento al prossimo concerto.

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