Vin – colare.

Morgan
Intervista Fuori dall’Appartamento…

Autore: Francesco Stefanini
Pubblicato il: 13-04-2005

Incontriamo Morgan poco prima della sua data romana al Circolo degli Artisti, ci accoglie poco prima del soundcheck…
Rocklab:
Prima domanda, questo nuovo tour, come va, cosa ci proporrai? ho visto
anche un set molto particolare sul palco (N.B. un piano, un divano, un
rhodes, synth, drummachine, theremin.. ecc…)


Morgan: Si il set da un pò di mesi a questa parte, è un set un pò
variabile, nel senso che io ho un’esigenza di cambiare spesso l’assetto
dei concerti, per proprio una mia pulsione a fare cose sempre un pò
diverse e in qualche modo essere impreparato alle situazioni, cioè nel
senso di avere quel margine di sorpresa, novità, imprevisto che secondo
me determina l’originalità del concerto, infondo se uno vuole una cosa
sempre uguale a se stessa si ascolta il disco, se invece vuole vedere
qualcosa di speciale che ogni volta è nuovo, viene a vedere un mio
concerto, e in effetti chi ha modo di vedere più concerti miei vede
sempre concerti differenti.

R: Quindi anche la scaletta è sempre differente?

M: Si, la scaletta, i musicisti stessi, io convoco musicisti differenti
ogni volta, e non li preparo più di tanto rispetto a quello che
succederà durante la serata, cioè noi siamo pronti a suonare una serie
di cose, diciamo un repertorio molto più vasto di quello che puoi
suoneremo, a volte si decide la scaletta prima, che poi verrà
modificata, alle volte non la si decide neanche, ci sono state serate
in cui ho messo dei bigliettini in un cappello, dove non c’erano
scritte le canzoni, ma c’erano delle parole, dei titoli di romanzi,
degli eventi di cronaca, delle cose che determinavano un pò l’andamento
della serata, quindi direi che è un pò un atteggiamento anche di
auto-sabotaggio.

R: Stasera ci proporrai anche pezzi di De Andrè?

M: Per esempio c’è questa possibilità… chi lo sa? (ride)

R: Il capello coi bigliettini anche stasera?

M: Il cappello coi bigliettini no, perchè non c’è il cappello… (ride)….

R: Rimanendo su De Andrè, il nuovo album, com’è nato?

M: Il nuovo album è un remake, il primo remake di un’album, italiano
almeno. Conosco altri remake che sono stati fatti… per esempio i
Laibach hanno fatto Let it Be che però è più una trasformazione, quasi
con sarcasmo, poi c’è "The Dub Side of the Moon" ma che è
un’adattamento, uno spostamento di genere, i Pink Floyd trasformati in
Reggae… No nel mio caso è un vero e proprio remake che si attiene
all’originale…

R: Quindi cerchi di mantenere le stesse atmosfere….

M: Si perchè è un’oggetto di studio, è sempre stato uno dei miei punti di riferimento…

R: Perchè hai scelto proprio questo album di De Andrè, che è un’album un pò atipico nella produzione del Faber

M: Perchè quel disco è per me il concept album per eccellenza, si è un
disco atipico per De Andrè ed è anche un’album auto-referenziale, a me
piace procedere per auto-referenzialità, ad esempio una parola
auto-referenziale è esasillabico perchè ha sei sillabe, cioè una parola
auto-referenziale è breve, perchè vuol dir breve ed è breve, ecco
questo è un disco auto-referenziale perchè è un disco che De Andrè ha
sepolto, lo stesso De Andrè non ha mai suonato dal vivo, proposto in
compilation, è un disco di anime sepolte, di personaggi sepolti, che è
stato sepolto da De Andrè, quindi io adesso non faccio una cover, ma
una dis-cover, un’anti-cover, perchè normalmente le cover coprono, sono
degli occultamenti. Il lavoro che c’è dietro questo disco per me è
interessante, è stato il lavoro musicalmente più complesso e articolato
per come è fatto, perchè inizialmente ho pensato: approccierò questa
esecuzione come se prendessi in mano un’opera, che ne so, il Don
Giovanni di Mozart, quindi mi faccio dare le partiture, ma le partiture
non c’erano, erano sepolte pure queste, e allora ho dovuto trascriverle
come sotto dettatura, cioè mi son messo la con una specie di
microscopio autoditivo e ho cercato di decifrare…. come si dice in
gergo "tirate giù", mentre le trascrivevo ho operato degli interventi
di microchirurgia musicale, che non sono molto udibili, uno ha la
sensazione che siano le parti originali, ma qua e là ci sono delle
variazioni, delle correzioni armoniche, invece da un punto di vista
della struttura l’ho allungato molto… innanzitutto la durata,
confrontando la durata: 31 minuti l’originale e 43 il mio, quindi ci
sono 12 minuti in più, questi 12 minuti vengono fuori perchè ho
rallentato tutti i brani, per esempio, e poi anche esteso delle parti,
e ho fatto riaffiorare le citazioni di Vivaldi. Quindi quando c’è la
citazione di Vivaldi che Piovani aveva fatto per rendere il disco
barocco, che già era barocco, io l’ho resa ancora più barocco
mettendola per esteso tutta la citazione, quindi l’Inverno di Vivaldi
alla fine del "Malato di Cuore" c’è tutta, poi ho aggiunto
un’introduzione che Piovani aveva messo alla fine, io l’ho messa sia
alla fine che all’inizio in moto tale da rendere circolare tutta la
struttura, poi le parti strumentali dei singoli brani come ad esempio
nel Blasfemo o nell’Ottico, o nel Matto, comunque in parecchi brani ho
raddoppiato, triplicato o quadruplicato a volte i riff strumentali, per
una sorta di feticismo musicale, cioè ci sono della parti che a me
piace ascoltare e quindi le vorrei ascoltare più volte… Non mi sono
permesso aggiunte testuali o modifiche alle strutture dei brani nel
senso lirico, magari aggiungere delle strofe, la struttura delle
canzoni è rimasta quella, semplicemente ho dilatato. Secondo me è
avvenuta una specie di dilatazione del lavoro che in effetti mi
sembrava un pò contratto… era nervosamente contratto, paradossalmente
si pensa che negli anni 70 la musica era polissa, invece questo disco
era molto sintetico, era molto stringato…

R: Aveva paura di dir troppo…

M: Secondo me De Andrè non aveva voglia di perdersi in troppe
divagazioni strumentali perchè dava molta importanza alle parole, io
invece che dò importanza anche alla musica, ho ampliato le parti
musicali anche per un gusto mio personale, nel lavorare a questo disco,
nel suonarlo, nell’eseguirlo, nell’orchestrarlo… è stato un lavoro
abbastanza complesso, e secondo me è venuto fuori il mio miglior disco,
lo posso dire anche perchè non è mio… (ride)


R: Il disco da chi è suonato?


M: Il disco è suonato dal mio ensamble, siamo in 14, è un’ensamble
composto da due organici, uno è "Le Sagome" che sarebbe il mio gruppo
pop, e l’altro è "L’Orchestra Scomposta" che è il mio gruppo classico,
il quintetto d’archi più i fiati… che poi "Le Sagome" sarebbero gli
stessi che hanno suonato ne "Le Canzoni dall’Appartamento" che si
chiamavano "I Giaguari" nel disco precedente, e si chiamano "Le Sagome"
adesso…. (ride)

R: Perchè "Le Sagome"?

M: Le Sagome perchè mi piace l’idea delle ombre degli spettri, cioè
proprio nel panorama di "Spoon River", nell’idea che stiamo facendo
qualcosa che ha a che fare con la morte, con gli spiriti, con le
anime… "Le Sagome" perchè è come se fossero dei musicisti da vedere
in controluce, delle silouette…. questa è una band che ha quaranta
nomi… ogni giorno ne cambia uno nel disco c’è scritto "Le Sagome"
magari oggi ci chiamiamo "I Malandrini" (ride)

R: Abbiamo intervistato Bugo poco fa e ci ha detto che il suo prossimo disco sarà prodotto da te, come mai la scelta di Bugo?


M: Penso per
affinità nella pazzia, lui crede che io possa essere uno che
razionalizza i suoi percorsi creativi, e io invece penso che non sarà
così, che invece sarà una specie di scontro atomico, tra due menti del
tutto incontrollabili come la mia e la sua. Penso che amplificheremo le
reciproche follie, e penso che verrà fuori qualcosa di paradossalmente
forse normale… sperando che si annullino… (ride). Comunque a me
Bugo piace molto, è nata questa cosa perchè in alcune interviste ho
dichiarato che era l’artista italiano più interessante, e probabilmente
era reciproca questa cosa, ci siamo incontrati ad un concerto, io mi
sono scritto con la matita per gli occhi sul braccio "Osso Bugo", lui è
rimasto molto colpito dalla cosa… e mi ha chiesto di suonare dal vivo
con l’organo in quella serata a Padova i pezzi che io non conoscevo,
lui è rimasto stupito di come io non conoscendo i pezzi avessi
azzeccato tutti gli accordi e gli ho detto: bè certo c’erano tre
accordi non era molto difficile… (ride)

R:
Allora vorrei chiederti qualcosa su "Canzoni dall’Appartamento",
innanzitutto ti faccio i complimenti miei perchè è un disco che ho
consumato, è molto bello, volevo sapere innanzitutto se è nato
inizialmente attorno ai contenuti o intorno alla musica, cioè avevi
necessita di esprimere i contenuti inizialmente, o la musica e poi i
contenuti?


M: Sono
nate tutte le cose parallelamente, cioè nel senso nel momento in cui ho
avuto l’illuminazione di come avrei dovuto procedere per fare questo
disco sono arrivate insieme tutte le idee, evidentemente era arrivato
il momento di farlo… si è un pò fatto da se questo disco. Diciamo che
regna sovrano il vincolo su questo album, che è l’idea del luogo, lo
spazio e il tempo, un paradigma spazio-temporale che è alla base di
tutto il lavoro, dopodichè, quando ci si pone un vincolo creativo, come
nel dogma cinematografico, uno decide dieci regole con cui procedere e
poi quello che ci metti dentro viene fuori con più facilità e in
qualche modo poi decidi se ancorarlo al vincolo o se magari
discostarti.. però in qualche modo hai la strada già tracciata, è come
avere dei binari sui quali procedere e a quel punto avendo deciso la
forma di questo disco, poi dopo i contenuti ce li ho messi dentro in
modo molto spontaneo e poco meccanico… in qualche modo sono riuscito
a comunicare i contenuti, una volta che avevo deciso la forma che
dovevano avere. E’ come in certa architettura, perchè la metafora
architettonica c’è pesante nel disco dell’Appartamento, non nel titolo
soltanto, ma proprio nell’estetica e nel riferimento con certi stili
architettonici, sia con quella organica, sia con quella razionalista,
sono stati un modello per questo vincolo che mi sono posto, e c’è un
particolare tipo di architettura razionalista che determina l’esterno
in base all’interno, cioè le esigenze dell’Appartamento come spazio
abitabile della casa che determinerà la forma esterna, e non viceversa,
questa è un pò una cosa che ho fatto lavorando alle "Canzoni
dall’Appartamento", poi tutte queste mie metafore, capisco che possano
sembrare un pò intellettualistiche o incomprensibili alle volte, però a
me mi aiutano a procedere, tant’è vero che prima di fare il disco Zero
dei Bluvertigo, io avevo proposto ai Bluvertigo un lavoro che avrebbe
dovuto chiamarsi "La Musica del Principio", per principio io intendo
questo vincolo: Laddove in ogni canzone doveva essere teorizzata a
priori un vincolo e avevamo già scritto tutti i vincoli da adoperare,
poi dopo non li abbiamo utilizzati, forse l’unico è stato il brano
"Zero" che è stato costruito in base al vincolo del rumore digitale,
cioè nel senso che i suoni di quel brano sono stati ricavati da delle
session dove noi tiravamo fuori i rumori dagli strumenti, e non i suoni
per qui erano stati costruiti, il jack che entra e esce
dall’amplificatore, l’accensione del campionatore… tutti questi
rumori che gli strumenti possono generare sono stati campionati e poi
ri-intonati e utilizzati per creare l’archivio dei suoni che poi
abbiamo utilizzato per il brano "Zero", questo era il vincolo alla base
di questa canzone, poi le altre canzoni sono state fatte molto
liberamente. Forse "Numero" è stata composta tenendo presente un
vincolo numerico, cioè andando a scomporre in modo abbastanza cerebrale
la struttura del brano procedendo con, niente popò di meno che, la
catena numerica di Fibonacci, cioè quella che si usava nel cinquecento,
che è una struttura di numeri primi per cui il numero successivo è
costituito dalla somma dei due precedenti. Quindi il porsi un
vincolo… era una cosa che anche per Bach aveva un senso, ad esempio
"La Fuga" come forma è una forma vincolante… io appartengo alla
categoria di quelle persone che pensa che aver dei vincoli è la
libertà, l’esser vincolati che ti permette di creare. Ad esempio,
provate ad immaginare un mondo ideale dove non ci siano persone fuorchè
te, non c’è nessuno spazio per poter parlare o per poterti relazionare,
quindi all’interno di quello che è un vincolo di una relazione uno può
agire la sua esistenza, se non ci fossero gli altri quale tipo di
esistenza potresti avere?

R: Visto che si parlava di Bluvertigo, ho sentito che state lavorando al nuovo album, a che punto siete?


M: Si ci stiamo
lavorando, io sto già scrivendo delle cose, siamo in fase compositiva e
di telefonate, dove appunto si parla di vincoli e io regolarmente
faccio la parte di quello un pò da domare, perchè se si seguisse quello
che io prospetto probabilmente si andrebbe in direzioni un pò fumose,
un pò poco concrete e molto fatte di immaginazione e di progettualità e
poco di messa in pratica, gli altri che hanno invece un modo di fare un
pò più concreto, più pragmatico del mio, tendono sempre ad abbassare i
miei voli pindarici, anche il vincolo stesso che ci siano loro fa bene,
io infatti pretendo che gli altri mi critichino, però ciò non toglie
che è proprio per questo che io posso volare in alto.

R: Ma trovi molto difficile domare questa tua concettualità? Trovi difficile calarla in una cosa più concreta?

M: No, cioè in effetti lo trovo normale, è quello che infondo faccio,
poi molto spesso capita di lavorare anche in una condizioni priva di
apriori, cioè mi metto li con gli strumenti sotto mano e creo delle
cose, dei giri, degli accordi, degli arrangiamenti, dei pattern di
batteria, delle cose che non hanno per forza un’idea concettuale che le
origina. Però trovo molto divertente il fatto di pensare prima le cose
che si fanno, per esempio quando scrivi un libro puoi pensare già come
andrà a finire, e di conseguenza scriverlo, oppure iniziare senza
sapere dove andrai e poi trovarti a pensare il finale al momento in cui
ci arrivi. Sono due modi diversi, l’importante è mettersi li e
lavorare, spendere ore e tempo dietro le proprie idee, io sono uno
molto teorico, però questo non vuol dire che nel momento in cui mi
metto con le macchine sotto mano non tiri fuori delle cose, anzi sono
uno abbastanza strumentista, mi piace suonare gli strumenti, diciamo
che ho tutti e due gli aspetti, alle volte prevale uno. Nel mio disco
ha prevalso l’aspetto concettuale che era: la metafora architettonica,
il tempo e lo spazio, nello spazio son stato delimitato dall’idea che
tutto quello che ho fatto è stato fatto in quell’Appartamento che ne ha
determinato i suoni, l’estetica, mi son fatto guidare da quello che io
potevo ascoltare acusticamente all’interno di questo ambiente che era,
apparte i suoni che potevo produrre io, erano i suoni dell’esterno che
entravano dentro di me, il rumore della città, il rumore dei vicini, il
calpestio di passi, il rumore delle tende quando c’era il vento, i
fruscii, le telefonate degli altri, il rumore del cellulare, e poi
c’era il vincolo del tempo, cioè del fatto che tutto questo avveniva in
un’epoca mai esistita, soprattutto in un’epoca sicuramente mai esista
nel passato e non nel futuro.

R: Cosa significa un’epoca mai esistita?

M: Significa un’epoca non vissuta, cioè un’epoca in cui io non sono mai
esistito, quindi il riferimento ad un’epoca che non mi apparteneva, non
era la mia epoca, che non era il suono contemporaneo, il suono degli
anni 80, era piuttosto il suono che c’era quando io addirittura ero o
semplicemente pensato, o nel grembo di mia madre, in quegli anni la.
Addirittura la musica che ascoltava mia mamma o mio papà, prima che io
venissi al mondo che in qualche modo mi ha generato, la musica dalla
quale io derivo senza averne avuto un’esperienza diretta, ma solo
indiretta, allora ho provato a ipotizzare una musica che viene prima di
me ma è tutta una cosa inventata che poi infondo non è che veramente
queste canzoni c’erano negli anni 60, hanno una parvenza di anni 60, ma
sono come io me li figuro ma poi non sono quelli. E’ come se io avessi
magicamente trovato questo disco nella soffitta ed era un disco che era
uscito nel 62 ma non ha avuto successo, queste canzoni non sono mai
state conosciute, sono rimaste là ancora chiuse, ho provato a scrivere
in modo non mio, come a scrivere delle finte cover, e mi son molto
divertito ad estraniarmi completamente, al mettermi al di fuori da me
stesso, in una posizione compositiva che non seguiva le logiche del mio
essere autore di canzoni, negli accordi, nell’uso della melodia, per me
cantare un pezzo come Altrove è come cantare una cover, come se non
l’avessi scritta io, cioè io spontaneamente non scriverei quello,
ponendomi quel vincolo sono riuscito a scrivere una canzone così che
però mi piace, ma è come se non l’avessi scritta io, fare tutto questi
esercizi di estraniamento poi alla fine secondo me produce di fatto, un
percorso personale.

R: Quindi è un disco tuo, ma non tuo?

M: Si, esatto è un finto disco di cover, mentre quello che ho fatto
adesso non è un disco di cover, ma la cover di un disco, una
dis-cover…. (ride)

R: Un’ultima domanda, cosa ne pensi della produzione italiana di adesso?


M: Penso che ci
siano cose interessanti, per esempio Bugo mi piace, mi è sempre
piaciuto Gazzè, Niccolò Fabi, certe cose di Tiromancino, ci sono molte
cose che mi piacciono, però se posso fare una critica alla musica
italiana, che è veramente poco audace, manca di slanci coraggiosi, di
fantasia estrema, è come se non trasgredisse mai nessuna regola, fosse
sempre troppo conforme e adatta, trovo che le musiche che piacciono a
me sono musiche che hanno qualcosa di inadatto….


R: Cosa sta nel tuo lettore CD adesso?


M: Bè apparte il mio disco che sto ascoltando per capirne i difetti, ma
ormai è troppo tardi perchè già è stato masterizzato, nel mio lettore
CD stanno gli LCD Soundsystem, Peaches, anche se è un disco che è
uscito un pò di anni fa, mi piace quel tipo di elettroclash la batteria
elettronica usata in un modo un pò assurdo, ecco vedi in questo caso i
ritmi di batteria elettronica di questo disco sono davvero poco
prevedibili, il rullante sta al posto della cassa, c’è una sovversione
continua dei ruoli che è quello che io chiamo audacia, coraggio, un pò
ribaltamento delle visioni, è un espressionismo sonoro. In Italia siamo
un pò perbenino, troppo contenuti, dentro delle certezze che fanno fare
dei prodotti gradevoli ma a volte la gradevolezza non è tutto, mi piace
anche l’invenzione, la stravaganza, la difficoltà nell’ascolto, a me
piace ascoltare cose che ascolto con difficoltà, non delle cose facili
da sentire, io ascolto molta musica contemporanea, che ne so
Stockhausen che sono cose ostiche all’orecchio, non carezzevoli,
stranamente io preferisco le cose che non capisco alle cose che
capisco.

R:
Per dire, siamo stati a vedere Megahertz dal vivo qui a Roma che ha un
set molto particolare, bè eravamo 15 persone più o meno…


M: Si direi che
Megahertz è abbastanza strano, anche se il suo disco non è abbastanza
strano come dovrebbe essere, io non sono intervenuto nel suo disco,
l’ho lasciato fare, mi piace la ricerca sonora che fa lui perchè è
completamente analogica, è un pò una sfida tecnica, una cosa un pò
fuori dal tempo diciamo, non si fa più così, è un pò un folle con le
tecniche che ci sono ora digitali, potrebbe fare in un giorno le cose
che fa in una settimana. Però mi piace il fatto che lui ha questa linea
che probabilmente gli complica un pò la vita, ma che alla fine lo rende
più originale.

R: Morgan produttore: continua tu…

M: Morgan produttore ultimamente non ha fatto molto, Morgan è sempre
produttore di se stesso, mi sono anche un pò stancato di questo, mi
piacerebbe essere un pò gestito da qualcun’altro che sia un pò più
fuori di testa di me, perchè se quel qualcun’altro è più limitato di me
allora è inutile. Io procedo per espansione voglio che le cose e le
visioni siano sempre più larghe, gli orizzonti più lunghi, mi
piacerebbe un produttore che mi tiri fuori delle cose, non che le
lascia dentro, quindi continuerò ad essere produtto di me stesso finchè
non arriva qualcuno…

R: Non hai voglia di produrre qualcun’altro, di tirare fuori le cose da qualcun’altro?


M: Io si ho
voglia di farlo, adesso ho molta voglia di produrre Bugo, poi ho voglia
di produrre un gruppo garage, cioè una specie di power trio…

R:
A questo punto la cassetta finisce e dobbiamo salutare Morgan che va a
fare il soundcheck… Un grazie particolare ad Emilio Zucca per il
supporto nell’intervista

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